Tempi difficili creano uomini forti

05 Marzo 2021
Il baritono ungherese Levente Molnár: Dobbiamo tirare fuori il meglio possibile del Congresso Eucaristico Internazionale e testimoniare la nostra fede davanti al mondo.

Il baritono di fama mondiale, appena trentotto anni, ha cantato in quasi tutti i principali teatri d'opera del mondo, inclusi due ruoli principali davanti al pubblico del Metropolitan Opera House di New York, ma alla fine ha deciso di tornare a casa. Come dice il proverbio: la casa è dove si trova il cuore. Vuole vivere qui al servizio della sua famiglia, della sua patria più ampia e del suo popolo. Questa volta non gli abbiamo chiesto dello svolgersi e della realizzazione della sua vocazione, o delle luci della ribalta, nemmeno delle attese esibizioni dell'opera lirica Bánk bán – eravamo invece curiosi di sapere dove nascono la fede profonda e la cura per la patria che tanto riscalda il cuore di Levente Molnár, e perché chiama il popolo ungherese “il popolo dei miracoli”, a cui non per caso è appena stato affidato il compito di organizzare il Congresso Eucaristico Internazionale. Secondo lui, il Signore mette solo i forti in situazioni difficili.

Foto: Vera Éder /Coopera

- “Quando canto l’aria Hazám, hazám di Bánk bán (in italiano: Patria sacra), a volte provo tanto dolore che non ho più forza nelle gambe, è talmente importante per me. Vivo per momenti come questo”, ha detto in una recente intervista. Come si sente quando canta l'aria più famosa dell'opera lirica Bánk bán?

- Devo dirLe come mi sento quando mi preparo, prima di salire sul palco: mi sento come se stessi per pregare in pubblico. Dico una preghiera, creata dagli autori in un momento benedetto. Ecco perché recitarla è un'enorme responsabilità. Hazám, hazám è un'opera molto popolare non solo perché ha una bella melodia e un bel testo: è diventata un hit perché serve al suo scopo. Avvicina Dio a coloro che non credono, ma hanno un senso di appartenenza al popolo ungherese. E introduce il valore del popolo ungherese a tutti quelli che sono magari religiosi ma sono lontani dalla coscienza nazionale. Riesco a cantare Hazám, hazám solo quando sento le farfalle nello stomaco. Considero il cantare una missione serissima. Voglio che l’ascoltatore sia commosso da quanto pesa la vita in cui Dio, la patria e la famiglia sono ugualmente essenziali, senza favorire l'uno a preferenza dell’altro. Questa musica riflette magnificamente la determinazione ungherese a credere, e la scelta ungherese di diventare cristiani. La fede in un solo Dio è il nostro scudo invisibile, solo che questo scudo deve essere sempre perfezionato. Bánk bán può aiutare in questo. Nell’opera lirica si usano molto spesso, in modo sacro e rispettoso, le parole Dio e patria insieme. L'uno senza l'altro, sappiamo bene dove ci porta.

La fede è come il sistema immunitario

Lei dice che la coscienza nazionale nasce nell’uomo attraverso Dio e la preghiera?

- Sì, e per questo è ancora più esaltante. Siamo un popolo religioso pieno di fede. Il nostro popolo è un popolo dei miracoli. Siamo stati i primi al mondo a riconoscere e formalizzare la tolleranza religiosa all’Assemblea Nazionale di Turda nel 1568, un atto, direi, all’avanguardia. Abbiamo accettato che la fede in un Dio unico potesse essere praticato da tutti di spontanea volontà, indipendentemente dalla loro confessione. Possiamo essere orgogliosi dei nostri risultati atletici, delle nostre invenzioni, ma soprattutto della seria testimonianza che abbiamo dimostrato nella nostra fede e tolleranza. Gli ungheresi vivono molto bene insieme tra le religioni e credenze diverse – perché hanno tutti la stessa essenza: amore, rispetto, accettazione. Al riguardo, i più forti sono la Transilvania e gli ungheresi: cioè per quanto riguarda lo stretto rapporto con Dio. Quanti dei nostri sacerdoti e vescovi si esposero in favore della verità della fede e della nazione e rappresentarono questi valori persino fino al martirio!

- Come disse il vescovo Áron Márton a Cluj nel 1944: “La persecuzione e la prigionia al servizio della verità e al servizio dell'amore non sono vergogna, ma gloria”...

- La sopravvivenza degli ungheresi oltre confine sarebbe inconcepibile senza la fede. Coloro che rimangono nella loro patria possono rimanere lì per la forza della fede. Credono nel Signore. Credono che gli ungheresi possano sopravvivere solo grazie al Signore. La fede è impressionante. La fede ci dà fiducia. Spesso mi chiedono da dove viene la mia autostima. Dal fatto che ho radici ed è pieno di fede. La fede è come il sistema immunitario. Non basta imparare i dialetti, le leggende, le barzellette o la storia, dobbiamo conoscere anche la fede. È ciò ci tiene. È ciò che è immortale. Se le nostre radici sono nutrite dalla fede, l'anima non si ammala così facilmente. Tramite la fede, possiamo anche risolvere i nostri problemi mettendo da parte il nostro ego. È molto più facile superare qualsiasi difficoltà per chi ha fede. Sarà in grado di ridurre al minimo il problema. La fede è uno scudo invisibile contro il male. È un orientamento verso il bene e aiuta a giudicare bene il carattere delle persone. Molti dicono di non essere religiosi ma di avere fede. È già una cosa bellissima cercare di avvicinarci individualmente alla verità. Anche noi, i székely in Transilvania, siamo un popolo guerriero che ripetutamente testimoniavamo la nostra fede e la difendevamo con zappe e falci, se era necessario. Nessuno ci potrà convincere che ciò che funziona bene è una cosa male.

Foto: ARTSTART4YOU Egyesületek

Emergenza all’alto

- Quando ha provato per la prima volta questa profonda fede, di cui parla con tanto entusiasmo?

- Quando nasce una persona, di solito ha una madre e un padre sani, ha la sua lingua madre, l'istruzione. Ma fa una bella differenza come vive la vita di tutti i giorni, quanto e come impara a festeggiare, come la educano i genitori, quante volte va in chiesa, quante volte le parlano di Gesù, di Dio e dell’esistenza e come le viene mostrata eventualmente la fede. Ricordo che da bambino molto piccolo, all'età di quattro o cinque anni, ho fatto sempre tacere la mia mente per poter ascoltare la voce più quieta, il suggerimento interiore più silenzioso, più pacifico. Soprattutto quando cercavo la risposta a una domanda importante, perché così trovavo sempre una risposta. Poi, crescendo, si guarda il mondo in modo diverso, e accade che non si ascolti la voce saggia e gentile, ma si provi anche strade che non portano necessariamente nella giusta direzione. La buona strada è molto stretta, è facile abbandonarla. Ma i nostri inciampi, li facciamo per imparare, formare la nostra personalità e ritrovare Dio. Dio ci dà così tante opportunità per poter ritrovarlo sempre.

- Lei abbia mai avuto questi momenti di ritrovamento di Dio?

- Non ho mai voltato le spalle al Signore, non ci pensavo neanche, la mia fede è stata sempre profonda, ma ho avuto anche delle conferme. Ad esempio, quando siamo quasi caduti con l’aereo. Non facevo ancora venticinque anni e dopo diversi voli minori fu il mio viaggio più lungo: Partimmo da Budapest per New York con un volo diretto di Malév. Partimmo regolarmente ma uno dei motori si fermò dopo Vienna. Volammo instabili, i portabagagli si aprirono, tutti furono presi dal panico. Raggiunsi l'immagine di Nostra Signora di Csíksomlyó nel mio portafoglio, e sentii subito la pace e l'accettazione della situazione che proveniva da Maria. Vienna non ci permise di atterrare perché i serbatoi di carburante erano pieni – il capitano ci teneva informato di quello che stava succedendo – quindi fummo tornati in Ungheria. Fummo tornati tra un'ora. Il pilota rilasciò il carburante in modo che se l’aereo si fosse schiantato, non sarebbe esploso, ed atterrò perfettamente con un motore. È stata un'esperienza molto dura, coronata dal fatto che dopo l'atterraggio non potevamo uscire dal bordo ca. per due ore perché tutto fu ispezionato.

- Penso che dopo il Suo ritorno a casa, la tappa iniziale del Suo primo viaggio fu Csíksomlyó...

- Già prima e anche dopo, faccio sempre il pellegrinaggio a Csíksomlyó. Non è immaginabile per me non essere presente tutti gli anni con Nostra Signora di Csíksomlyó. C’è sempre un motivo per ringraziarla.

Foto: Bence Hegedus /4K Media Studio

Tutto è importante qui a casa

- Cosa ha significato per il popolo székely di Transilvania la visita di Papa Francesco a Csíksomlyó?

- Il papa non ha visitato la Transilvania da duemila anni, e forse non ci tornerà per qualche centinaio di anni. Il significato della visita di Papa Francesco a Csíksomlyó è enorme. È venuto perché sa benissimo che siamo l'ultimo baluardo orientale della Chiesa cattolica. Ed è per questo che siamo noi i più forti. Come le guardie di frontiera dell'epoca, i székely sono la prima linea di difesa della fede. Questa è una grande responsabilità per noi. Ecco perché un popolo così serio come gli ungheresi deve resistere.

- È anche un richiamo morale al Congresso Eucaristico?

- Non è da poco che Budapest può organizzarlo! Sì, dobbiamo trarne il meglio e testimoniare la nostra fede al mondo. Dobbiamo mostrare la nostra presenza fedele e spirituale nel bacino dei Carpazi. Il Congresso rivelerà anche quanto siamo grandi persone e che la nostra anima è addirittura più grande del bacino dei Carpazi. Non è proprio legata a una certa area geografica. Sì, stiamo vivendo tempi difficili adesso, ma non possiamo dimenticare che le sfide così difficili capitano solo a persone forti.

- Come è la Sua vita dalla primavera scorsa?

- Creo e aiuto la vita culturale nel mio paese secondo il mio talento. Con la mia compagna, Viktória Mester, abbiamo fatto diversi video, nel video intitolato Imádság (Isten áldja meg a magyart) (in italiano: Preghiera, Dio benedica l’ungherese) canta anche la nostra bambina, Ajna. Abbiamo anche cantato una canzone su COVID-19, è molto divertente, piace a molti, più di un milione di persone l'hanno già vista e sentita su Facebook. Purtroppo, la mia pagina è stata cancellata da Facebook, non so perché, non mi hanno fornito una giustificazione. Tuttavia, si può trovare questi due video su YouTube.

Con le associazioni ArtStart4U – l'associazione Művészeti Alap Értetek (in italiano: fondamenti dell’arte per voi) e l’associazione Class Értékeink (in italiano: valori di classe) – e con il sostegno del governo ungherese, teniamo ormai da sei anni consecutivi una master class gratuita di dieci giorni a Terra dei Székely in Transilvania per cento studenti del liceo, con vito e alloggio incluso e con insegnamento di flauto, violino, pianoforte, violoncello, clarinetto e canto. L'abbiamo organizzato anche l'estate scorsa, questa volta senza insegnanti ungheresi, ma con docenti di rinomate università della Transilvania.

Siamo anche riusciti a iniziare l'insegnamento del canto all'università ungherese con il sostegno della madrepatria: l'Università cristiana del Partium di Oradea offre, con dieci borse di studio, corsi di canto in ungherese dal settembre dello scorso anno. Infatti, uno dei dipartimenti di canto meglio attrezzati del bacino dei Carpazi ha iniziato le sue attività qui. Insegniamo a studenti di grande talento, hanno già ottenuto ottimi risultati nell'esame del primo semestre.

Insieme alla Co-Opera, il 19 dicembre 2020 abbiamo organizzato una serata di musica e letteratura intitolata Schubertiáda Online - Dalok, kvintettek, versek, prózák Franz Schubert emlékére (in italiano: Schubertiade Online - Canti, Quintetti, Poesie, Prose in omaggio a Franz Schubert) e trasmessa da Pócsmegyer. Da Pócsmegyer, perché è l’unico posto in Ungheria che Franz Schubert visitò nel 1818 su invito della famiglia Esterházy, e in seguito ricordò molto positivamente i giorni trascorsi lì.

Sono in preparazione anche nuove opere e film. Ho serie ambizioni e idee circa le opere liriche ed i drammi che potrebbero essere usati per far conoscere meglio al mondo gli ungheresi e il bacino dei Carpazi.

Foto: Vera Éder/Coopera

- Cioè, ha trovato il Suo posto e le Sue responsabilità persino nelle attuali difficili circostanze.

- È molto interessante che cosa mi ha fatto emergere questa situazione. Ho iniziato a cercare il lato buono. Vedo anche in questo il contributo del Signore, perché due o tre anni fa ho deciso molto seriamente di voler lavorare nel bacino dei Carpazi. Volevo tornare nella mia terra il prima possibile ed essere ospite all'estero non più di una o due volte all'anno. Prima era proprio il contrario. Ed è arrivata l'epidemia, tutti i contratti sono stati risolti, quindi ho preso le iniziative delle attività qui e mi sento davvero bene per questo. Ho trovato casa nella compagnia della Co-Opera. La serietà del lavoro appena in preparazione è ben illustrata da Bánk bán, a cui la Germania e Verona sono già interessate. Questo ruolo è importante per me. M’impegnerò al massimo.

- Oltre alla Sua famiglia e al Suo senso della missione, cos'altro L’ha chiamato a casa così con tanta forza?

- Il fatto che qualsiasi cosa succedeva all’estero, non provavo dolore. Perché non era nostro. È meglio essere nella mia terra perché qui provo anche dolore. Nella nostra terra siamo tristi se qualcosa non funziona, lottiamo per migliorare le cose per sviluppare il nostro paese, che è il nostro. Perché questa è una questione nazionale. Questione di fede. Tutto è importante qui, nella mia terra. E ogni perdita, ogni delusione mi fa male. È da questo dolore agrodolce che nasce tutto bello e buono per le generazioni future.

Si spera che, con la bella collaborazione di fede e scienza, il mondo si riprenderà dai guai e che finalmente gli incontri personali definiranno le nostre vite di nuovo. (Anche) per questo è importante e necessario ascoltare la quieta voce dell’anima. Ascoltiamo la sua parola, perché da lì arriva l'aiuto.

Varga Gabriella

Foto: 4K Media Studio, CoOpera , ARTSTART4U Egyesületek