Noi ungheresi abbiamo salvato molti dalla fame

13 Novembre 2020
La pandemia ha causato una catastrofe umanitaria in Nigeria. Il giornale Magyar Kurír ha chiesto ai suoi lettori di aiutare a combattere la fame con le loro preghiere e donazioni nel giorno di San Martino.

- Qual era lo scopo dell’iniziativa annunciata per il giorno di San Martino?

- Negli ultimi anni abbiamo informato i nostri lettori più volte della missione medica del dott. András Csókay e della dott.ssa Réka Fodor a Onitsha, Nigeria. Di fronte alle circostanze in cui lavoravano, era chiaro che dovevamo incoraggiare il loro progetto, presentando le loro attività e le vite di coloro che erano lì. Alla santa messa confessiamo di credere nella Chiesa Cattolica, che è “universale”, cioè, come la descrive san Paolo: “Come il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo”. Quindi, se le persone vivono in condizioni di povertà assoluta, dobbiamo rivolgere la nostra attenzione a loro. Quando in primavera è scoppiata l’epidemia, in Nigeria è scoppiata una catastrofe umanitaria. La povertà è inimmaginabile in questa regione: Le persone hanno un reddito giornaliero inferiore a un dollaro, niente elettricità, niente acqua potabile… Quando è scoppiata l’epidemia e le persone sono state messe in quarantena, non avevano né i soldi né l’opportunità di acquistare cibo. Noi abbiamo chiesto ai nostri lettori in primavera e in estate di aiutare i nigeriani con le loro donazioni. Con i soldi, la fondazione ha acquistato il riso e lo ha consegnato ai bisognosi attraverso l’arcidiocesi locale e la rete parrocchiale. A settembre, l’arcivescovo di Onitsha, Valerian Okeke, ha scritto una lettera al cardinale Péter Erdő, in cui diceva che molti di noi ungheresi li avevano salvati dalla fame. Purtroppo, l’epidemia non è ancora finita, quindi abbiamo pensato che come San Martino, che anche da pagano diede metà del suo mantello a un mendicante, dovremmo aiutare quelli che vivono a Onitsha sia con le nostre donazioni che con le nostre preghiere. È bello vedere che il cardinale Péter Erdő e András Veres, presidente della Conferenza Episcopale Ungherese, si sono uniti alla nostra causa.

- È spesso difficile affrontare le difficoltà e la miseria degli altri, poiché questo è spesso al di fuori della nostra zona di comfort. Quanto sono solidale le persone e quanto possono essere aperte ai problemi degli altri?

- Spesso pensiamo che il mondo sia brutto, e questa sensazione è particolarmente intensificata nella situazione attuale. Per questo motivo tendiamo a rinchiuderci. Allo stesso tempo, non possiamo dimenticare che Dio ci ha formati a sua immagine, e uno dei suoi maggior gesti è che ama sempre dare a ciascuno di noi. Questo gesto celebriamo per esempio a Natale nel segreto che il Padre ci ha donato suo Figlio. Quindi la volontà di dare è sempre lì nel profondo di ogni anima umana, questo è il segreto della nostra divinità. Alle nostre chiamate abbiamo sempre ricevuto dei sostenitori e delle donazioni: in primavera, in estate e anche adesso.
L’arcivescovo Okeke e Réka dicono che questo è un miracolo, e lo è anche per me, siccome in questo gesto possiamo vedere un autentico esempio di altruismo, di solidarietà. Sembra che le persone siano buone e i loro cuori siano aperti. Per il nostro attuale richiamo abbiamo già ricevuto milioni di fiorini sul conto della Fondazione Afréka. La maggior parte delle donazioni varia tra i 1.000 a i 10.000 fiorini, il che significa che questa somma proveniva da quelle due monetine della donna povera, come si legge anche nella Scrittura - e noi lo riteniamo un miracolo.

- L’epidemia si presenta molte difficoltà, ma come e cosa possiamo far diventare positivo in questa situazione?

- Nella sua predica in occasione del pellegrinaggio di Csíksomlyó, l’arcivescovo di Alba Iulia Gergely Kovács ha raccontato una storia: un uomo anziano coltivava nella sua fattoria con suo figlio. Durante una tempesta, i loro cavalli si spaventarono e si allontanarono. I vicini erano dispiaciuti, ma il vecchio saggio gli chiese: come fate a sapere che questo è una cosa brutta? Pochi giorni dopo, i cavalli tornarono con molti di loro, perché con loro vennero anche alcuni animali selvatici. Il popolo si rallegrò, ma il saggio gli disse: come fate a sapere che questo è una cosa buona? Il figlio del vecchio volle addestrare i cavalli selvatici, ma cadde da
uno dei cavalli e si ruppe una gamba. I vicini ebbero compassione per lui, ma il vecchio fece di nuovo la domanda: Come fate a sapere che questo è una cosa brutta? Aveva ragione: Scoppiò una guerra, i ragazzi furono arruolati, ma il figlio del vecchio non poteva andare a causa della sua gamba rotta. Ho fatto questo esempio perché spesso si scopre che il bene si rivela cattivo e il male finisce per essere buono. Vedo che il virus ha portato (anche) tanto bene, siccome i nostri rapporti umani si sono rafforzati, prestiamo più attenzione, ci aiutiamo a vicenda. Credo che tutto questo evochi la nostra divinità: E lo attribuisco al fatto che non chiudiamo ma apriamo i nostri cuori durante di queste raccolte.

- Cosa significa per te l’esempio di San Martino?

- Molte volte non pensiamo nemmeno di fare del male o del bene, facendolo sempre con Gesù – come si può vedere nella storia più nota relativa al santo, dopo il dono del mantello.
Lasciatemi fare un esempio personale: una volta eravamo in un campo spirituale con il parroco Miklós Vigyázó. Durante la santa messa verso la preghiera Padre nostro, il sacerdote ci ha chiesto di metterci attorno all’altare tenendoci per mano e poi di avvicinarci al centro dell’altare, dove a quel tempo c’era già il Sacramento. E poi ci ha chiesto di fare un passo indietro. Qual è il messaggio di questo? Man mano che ci avvicinavamo al Sacramento, cioè a Gesù, ci siamo anche avvicinati l’uno all’altro, e quando ci siamo fermati più lontano, ci siamo allontanati anche un po’ sia da Gesù che dagli altri. Non si può dimostrare con un esempio più bello il miracolo di San Martino o il messaggio di Gesù, e credo che con la nostra azione appena annunciata saremo più vicini non solo a Dio, ma anche agli altri.

Fonte: IEC

Foto: Marcsi Ambrus