La luce di Gesù può vincere su qualsiasi oscurità

20 Maggio 2021
Le notizie di scontri sanguinosi nelle strade del Myanmar hanno fatto il giro della stampa mondiale. Milioni hanno visto una foto di Suor Ann Rose inginocchiata in preghiera davanti a un muro di soldati.

Dopo l’invasione militare del 1962, la Chiesa cattolica fu perseguitata, “la gente era affamata, ai giovani è stata negata l’istruzione, migliaia di persone sono stati arrestati e imprigionati per aver cercato di far valere i loro diritti fondamentali, migliaia di persone morivano o scomparivano. (...) Il paese si è rinchiuso. La Chiesa cattolica ha subito la persecuzione. In una sola notte, i missionari che servivano i poveri e i vulnerabili sono stati cacciati via”, ha detto il cardinale birmano Charles Maung Bo durante una messa del 2016 nella cattedrale di Westminster a Londra.

La Chiesa vitale

Oggi, più di 340 milioni di cristiani subiscono ogni giorno discriminazioni a causa della loro religione. In Birmania, nel Sud-est asiatico, i membri della comunità sono stati sottoposti a repressione e persecuzione per decenni. I buddisti sono in grande maggioranza nel paese di 53 milioni di abitanti, l’uno per cento della popolazione è cristiana e il 4 per cento musulmana. Nonostante la repressione e il fatto di essere di minoranza, la Chiesa birmana è cresciuta addirittura durante i tempi più oppressivi. Il numero dei fedeli è cresciuto da 100.000 a 700.000. Il clero di 160 persone è salito a 700, mentre il numero dei monaci è aumentato da 300 a 2000, la maggior parte di loro sono sotto i 40 anni. Charles Maung Bo ha detto: “La Chiesa era come il granello di senape che, come nella parabola nelle Scritture, si è trasformata in un albero.” La forza della comunità si rispecchia nel fatto che ormai 16 Caritas offrono aiuto alle persone in difficoltà.

Il cardinale Bo auspica la riconciliazione nazionale

Durante l’occupazione militare del 1962, Charles Maung Bo stava già studiando dai salesiani, poi ha preso i voti nel 1970. Ordinato sacerdote nel 1976, nel luglio 1990 è stato nominato prefetto apostolico di Lashio, elevata a diocesi, di cui è stato consacrato vescovo. 2003 è stato promosso arcivescovo di Yangon, e dopo da Papa Francesco è stato creato cardinale. Ormai da due anni è presidente della Federazione delle Conferenze Episcopali dell’Asia e nel 2016 ha celebrato la messa di apertura al Congresso Eucaristico Internazionale di Cebu in qualità di Legato Pontificio. Charles Maung Bo ha parlato in molte occasioni di coesistenza pacifica e vede l’emergere del paese attraverso la riconciliazione nazionale.

Sangue, lacrime, morte

Che sono le controversie che dividono la comunità? La Birmania fu privata del suo nome e ribattezzata Myanmar dalla dittatura militare nel 1989. Nel paese si convivono 135 gruppi etnici, il che ha reso sanguinosa la storia del territorio, abitato già dal IX secolo a.C. Gli inglesi iniziarono ad occupare la Birmania nel 1824. Nel 1937, il territorio fu separato dall’India britannica e gli fu concesso lo status coloniale. I membri del movimento indipendentista scatenarono una rivolta antibritannica durante questo periodo, ma gli invasori risposero con sanguinose rappresaglie contro le aspirazioni nazionali. Durante la Seconda guerra mondiale, i giapponesi cercarono le forze antibritanniche con la promessa di uno stato indipendente, le quali poi si organizzarono in un esercito. Il Giappone invase la Birmania, spingendo le forze comuniste a lanciare una guerra contro di loro.

Chiuso dietro una cortina di bambù

Nel 1945, gli inglesi ripresero il controllo della loro colonia. Dopo anni di negoziati, un accordo britannico-birmano portò alla proclamazione dell’Unione Birmana indipendente. Nel 1962, un colpo di stato militare mise il potere nelle mani dei capi militari. Il consiglio rivoluzionario costruì il socialismo birmano, il che significava il completo isolamento dal mondo. Mentre l’Europa fu divisa dalla cortina di ferro, la Birmania fu isolata da una cortina di bambù. Tutto ciò arretrò notevolmente lo sviluppo del paese. Nel 1987 iniziarono le proteste antigovernative. Nel 1990, si tennero le elezioni parlamentari, ma il governo militare impedì che la volontà degli elettori prevalesse. Nel 2007, scoppiarono di nuovo le proteste antigovernative per la rimozione dei sussidi sui prezzi del carburante e contro l’aumento vertiginoso dei prezzi. Le proteste furono represse dai vertici militari. Un anno dopo, un uragano colpì il paese, lasciando 13.000 persone disperse e morte nel disastro naturale.

Vivere e lasciar vivere!

L’esercito è rimasto al potere fino al 2011, mentre è iniziato un lento processo di democratizzazione sotto l’egida della costituzione. Nel 2015 Aung San Suu Kyi e il suo partito ha vinto le elezioni, che aveva precedentemente vinto numerosi premi internazionali. Tuttavia, i militari continuavano ad esercitare una forza eccessiva.

Nel febbraio 2016, il parlamento liberamente eletto si è riunito di nuovo dopo 55 anni e il cardinale Charles Maung ha auspicato che questo evento possa portare a un paese più forte, alla pace e alla riconciliazione nazionale. “Ci aspettiamo che il governo riconosca il diritto della Chiesa a costruire chiese e monasteri”, ha detto il cardinale. Nonostante la sua richiesta, l’esercito commetteva regolarmente violenze contro i cristiani.

Cattolici scomparsi senza traccia

La Vigilia di Natale 2016, diversi membri della comunità di San Francesco Saverio sono scomparsi dopo aver informato i giornali che la loro chiesa era stata distrutta dall’esercito statale. Il parroco della comunità è fuggito in Cina.

La Birmania è stata sotto i riflettori nell’estate del 2017 quando la maggioranza buddista ha lanciato una brutale offensiva militare contro i membri della minoranza islamica Rohingya. Quasi 700.000 persone sono fuggite in Bangladesh dagli attacchi sanguinosi. Aung San Suu Kyi, che allora era il capo del governo del paese, ha perso il sostegno di molti stati a causa del genocidio dei Rohingya. Da allora ci sono costantemente proteste e circa mille persone sono state uccise negli scontri da febbraio.

Le armi sono inutili

La minoranza cattolica di appena 800.000 persone in un paese di 54 milioni è sotto minaccia quotidiana. Il primo cardinale nella storia del Myanmar, Charles Maung Bo, arcivescovo di Rangoon, difende rigorosamente la pace e la comunità. È stato nominato da Papa Francesco nel 2015 che voleva in questo modo e tramite l’arcivescovo esprimere la sua solidarietà per i cattolici birmani. L’arcivescovo era presente in qualità di Legato Pontificio al Congresso Eucaristico Internazionale del 2016 a Cebu, dove interveniva ripetutamente a favore dei cattolici perseguitati. Nello stesso anno, i capi religiosi del Myanmar hanno lanciato un appello chiedendo ai leader politici e militari del paese di cercare un percorso di riconciliazione e pace. Dall’inizio del 2021, proteste e scontri sono in corso nel paese. In un colpo di stato militare a febbraio, le forze locali hanno spodestato il partito al potere, che lo ha consegnato al comandante militare del paese. Il cardinale Bo parla regolarmente contro le atrocità, la violenza e la persecuzione, e sul colpo di stato di febbraio, ha detto che “le armi sono inutili. Dobbiamo prendere le armi della riconciliazione e del dialogo.”

Seguite la via della misericordia!

L’11 aprile di quest’anno, la domenica della misericordia, il cardinale Bo ha invitato il popolo del suo paese a rifiutare la disumanità e la brutalità e a seguire la via della misericordia. L’arcivescovo ha paragonato alla Via Crucis il periodo attuale del Myanmar, cioè questi giorni di paura, violenza, fame e oscurità. Secondo il cardinale Bo la luce di Gesù può vincere su qualsiasi oscurità. In un’altra occasione, ha chiesto al popolo di Myanmar di pregare il Rosario e di partecipare alla celebrazione dell'Eucaristia durante tutto il mese di maggio. Nelle ultime settimane, l’esercito ha lanciato attacchi estremamente gravi contro le aree in cui numerosi cristiani vivono, costringendo migliaia di persone a lasciare le loro case. Secondo l’arcivescovo Bo occorre aprire ogni porta e ogni cuore all'altro, perché come dice lui, siamo figli dello stesso popolo e l’umiltà e la pregheria devono essere la risposta alla violenza.

Papa Francesco: Anche io mi inginocchio sulle strade del Myanmar

La foto di un’anziana suora che è uscita davanti a un gruppo di poliziotti armati, si è inginocchiata davanti a loro e ha “protetto” i dimostranti dalla violenza della polizia con il proprio corpo, ha recentemente colpito la stampa mondiale. L’arcivescovo Bo vede l’atto di suor Ann Rose come un atto di amore del Cristo Redentore, avendo reso tutti i cattolici orgogliosi del suo coraggio.

Il cardinale Bo ha indirizzato un messaggio al popolo del Myanmar, in cui ha scritto: “Noi, la Chiesa in Myanmar, rimaniamo fedeli al nostro messaggio di speranza. Pregheremo e lavoreremo per un nuovo Myanmar, affinché il paese possa rinascere dalla tragedia attuale. Vogliamo un Myanmar dove tutte le persone hanno gli stessi diritti, dove la diversità di origine e di religione può essere celebrata, e dove possiamo godere di una vera pace. Vogliamo un Myanmar in cui i soldati mettano giù le armi, cedano il potere e facciano quello che sanno fare meglio: proteggere il popolo al posto di attaccarlo”.

Papa Francesco si esprime ripetutamente circa i eventi in Myanmar. “Anche io mi inginocchio sulle strade del Myanmar e dico: cessi la violenza. Anche io stendo le mie braccia e dico: prevalga il dialogo. Il sangue non risolve niente. Prevalga il dialogo.” dice il Santo Padre.

Fonte e foto: Asianews.it, Magyar Kurír